L'inchiesta - Oltre il lavoro

 

L'atteggiamento di scarsa progettualita' sul lavoro, dovuto a condizioni di lavoro difficili e precarie si manifesta anche nelle altre dimensioni della vita. Chi ha nel lavoro un atteggiamento di accettazione non critica del sistema lavorativo sembra avere nei confronti della societa' la stessa accettazione passiva. I giovani incontrati infatti non si mostrano tanto "contro" l'impegno sociale o politico, quanto estranei. Osservano dall'esterno, apprezzano, in linea di principio, ma non ne capiscono molto gli atteggiamenti e le scelte e difficilmente si coinvolgono attivamente.
Una considerazione importante e' che e' mutata la concezione del tempo: nuove organizzazioni del lavoro e nuove tecnologie legate all'informazione hanno assottigliato il confine tra lavoro e non lavoro creando una sovrapposizione nelle diverse dimensioni della vita. Per quei giovani per cui l'unico modo per guadagnare un salario sufficiente è di accettare di fare straordinari, c'è da chiedersi quanto tempo e quante forze rimangano loro per fruire di tempo libero o di attività formative che permetterebbero un migliore inserimento nel mondo del lavoro, o la soddisfazione di interessi personali. Diversi giovani invece hanno affermato di apprezzare il lavoro part-time, le collaborazioni, i turni perché lasciano più tempo libero da dedicare ad altri interessi o impegni ma anche perché non imprigionano la persona ad orari, a schemi rigidi, che spesso stanno stretti.
Il 36% dei giovani dice di aderire a qualche forma associativa. La preferenza va ad associazioni di volontariato, di ispirazione religiosa, associazioni sportive o culturali ma diminuisce l'impegno politico, sociale, sindacale. In uno scenario di crisi dei tradizionali ambiti di impegno, tendenze relativamente nuove offrono ai giovani la possibilità di sentirsi parte e di confrontarsi sui grandi valori universali della pace, della giustizia, della solidarietà, della tutela dell'ambiente. La scelta di aderire a progetti è determinata dalla soddisfazione personale, dal desiderio di rendersi utili, di vivere relazioni positive e di acquisire competenze. La dimensione ideale e progettuale segue questa prima motivazione più individuale; solo il 12,3% afferma infatti di partecipare per migliorare la società. Si preferisce una solidarietà che produce una gratificazione immediata, ad una solidarietà lunga che richiede progettazioni politiche e sociali ampie. I giovani esprimono il bisogno di sentirsi utili socialmente ma il loro impegno è slegato dalla società, dalla partecipazione alla costruzione di una società migliore. Nello stesso tempo è poco percepita dai giovani intervistati la valenza educativa di alcuni luoghi in cui poter maturare idee e valori comuni. Significativo è infatti che tra le agenzie educative che hanno maggiore influenza nella società, centrale permane il ruolo della famiglia e della scuola; colpisce e interroga invece la scarsa rilevanza che viene attribuita alla parrocchia (l'1,5% la mette al primo posto e il 9,1 al secondo) e all'associazionismo (lo 0,6% al primo posto e il 4,1 al secondo).
Oltre ad essere superato e scarsamente significativo, il termine partecipazione oggi non può più essere declinato al plurale. Da sempre abituati a pensare la partecipazione come il progetto collettivo per cui le persone si spendevano e come la ricerca e la risoluzione comune dei problemi, oggi la si deve pensare al singolare. Al centro c'è la persona singola che con altri vive esperienze, emozioni, riflessioni che l'aiutano a identificarsi, a stare bene, a sentirsi parte di un qualcosa di più grande, ma che non lo coinvolgeranno mai, giustamente, in maniera totalizzante e definitiva.
Eppure, in questi ultimi tempi, stanno prendendo forma nuove modalità di partecipare estremamente coinvolgenti che permettono ai giovani di esprimersi e di sperimentare libertà, ma che rischiano di creare spazi di autonomia ai margini, se non addirittura all'esterno degli altri contesti sociali e politici. Il rischio di questa separazione, nonostante l'innovazione dei contenuti e delle proposte è quella di non essere efficace ma a volte addirittura funzionale al mantenimento del sistema cui si oppongono. Spesso la partecipazione si riduce all'essere presenti piuttosto che al prendersi responsabilità continuative.
Il 48,2% degli inchiestati ha indicato nell'onestà dei politici il presupposto necessario per migliorare le condizioni socio-economiche della nazione. Se da una parte questo dato può essere letto come espressione di fiducia nella politica per la risoluzione dei problemi, dall'altro si deve leggere come una pesante condanna nei confronti dell'attuale classe politica, indicando, fra le righe, la questione morale come la causa principale della situazione socio-economica italiana. Questa considerazione può essere avvalorata dal fatto che in realtà le persone, pur indicando nell'onestà dei politici lo strumento per migliorare le condizioni, mostrano scarsissimo interesse verso la politica attiva. Solo il 25,9% afferma di interessarsene molto od abbastanza, mentre il 31,8% dice che non si interessa assolutamente. La domanda relativa agli atteggiamenti nei confronti della politica evidenzia che il 46,7% del campione afferma di tenersi al corrente, di informarsi, ma di non impegnarsi attivamente, appannaggio del solo 5,1% degli intervistati. Anche sul versante della politica, si registra, quindi, una lontananza affettiva profonda, è "utile si, ma è qualcosa d'altri", non è ambito che sa creare quell'appartenenza di cui sono tanto bisognosi i giovani intervistati. Questa lontananza nei confronti delle istituzioni e dei partiti determina anche una sorta di analfabetismo politico e istituzionale. Si respira un'aria di crisi della politica autentica, che ha lasciato il posto alla "politica dei sondaggi", priva di progettualità, di valori, di proposte. Ma è anche alla fine fin una politica che non affascina e non coinvolge; nei giovani c'è maggior fiducia nella politica del quotidiano, vicina al territorio, legata a persone conosciute, credibili e ai luoghi informali di dibattito e confronto.
In questa prospettiva il lavoro e il territorio possono tornare ad essere luoghi sociali significativi in cui costruire percorsi di significato in ciò che si vive, ma anche soluzioni concrete e progetti realizzabili in cui i giovani possano sperimentarsi, costruire relazioni umane significative e fare sintesi fra proposte innovative e la ricchezza della tradizione. Il laicato associato e le comunità cristiane hanno sicuramente un ruolo importante. In particolare, la sfida per le associazioni è diventare uno spazio fondamentale per l'apertura dei giovani alla società e alla partecipazione ad essa, attraverso il proprio ruolo di mediazione tra il singolo e la collettività; nello stesso tempo anche le comunità cristiane possono diventare luoghi di socializzazione e di recupero della dimensione collettiva, di evangelizzazione ed educazione dei giovani in tutte le dimensioni della vita, in cui hanno piena cittadinanza i giovani del mondo del lavoro.

 

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