Tempo & denaro
GO, Autunno 2005


Indaghiamo il mondo del consumo, sfera sempre più sfaccettata e complessa del nostro quotidiano.

Intervista a Daniele Marini, direttore della Fondazione Nord Est, nonché il sociologo che segue la campagna d’azione della GiOC.

Che cosa si intende quando si parla di consumo?
In senso tradizionale per consumo ci si riferisce all’acquisto di beni materiali, ma oggi esso assume accezioni più ampie, soprattutto in senso immateriale. Per esempio pensiamo al tempo: in un colloquio con una persona è frequentissimo che uno dica di essere stressato perché ha “poco tempo". Naturalmente si parla di una percezione soggettiva, che va al di là di una concezione del consumo puramente economica.
Il concetto di consumo, poi, viene usato anche in relazione allo sfruttamento delle risorse individuali, in particolare delle relazioni. In questo senso si pensa alle amicizie dei telefonini e degli sms: spesso sono relazioni che durano quanto la moda, una stagione. Insomma, a volte sono legami che si logorano rapidamente, si consumano in fretta. Questo avviene sia nelle amicizie sia in campo affettivo: è come un vortice in cui non c’è differenza tra relazioni e oggetti.
Quello di consumo, insomma, è un concetto ricco e multilaterale, anche perché la nostra società si fonda sull’utilizzo di beni di diversa natura.

Infatti questo concetto è venuto a sostituire quello più circoscritto di consumismo.
Negli anni ’70 si parlava di società consumistica soprattutto in relazione al modello capitalistico che si andava affermando. In questo senso il consumismo indicava quell’atteggiamento per cui le persone costruivano la propria identità e il proprio status in relazione agli oggetti che possedevano. Questo oggi descrive solo un aspetto del fenomeno, che ha confini molto più ampi.
Sembra, infatti, che per le persone assuma rilevanza soprattutto l’accesso al consumo, più del che cosa si consuma. Facciamo un esempio: le vacanze. Attualmente non è più una discriminante il farle o meno, come in passato, ma che tipo di vacanze possiamo permetterci.

Si sente dire a volte che si è passati da una società della produzione a una del consumo. È vero? E che cosa significa?
In parte è così, perché le nostra società non hanno più una economia a base principalmente industriale e produttiva in senso stretto. Grande rilevanza ha oggi il terziario che occupa oltre il 60% dei lavoratori. Solo una piccola percentuale, insomma è impiegata nel primario, il settore produttivo per eccellenza, mentre più della metà si occupano di servizi alla persona.

Una società del consumo in crisi, però...
Si parla continuamente nei tg, sui giornali di “crisi dei consumi" e di “sindrome della quarta settimana", in riferimento al fatto che le persone non riescono a far fronte alle spese nell’ultima parte del mese. È sicuramente vero, non è solo una percezione soggettiva, tant’è che si è notato una limitazione delle famiglie nelle spese alimentari. Di solito il risparmio su questa sfera indica che c’è davvero una crisi.
Tuttavia, nello stesso periodo vediamo che continua a crescere la spesa per telefonia e oggetti ad alta tecnologia. Ebbene questo mostra anche un cambiamento degli stili di consumo importante: se si deve limitare il consumo, si sceglie di farlo a tavola. È una scelta di beni molto diversi rispetto a anni fa.

Per alcuni il consumo costituisce l’identità dell’individuo più di quanto non faccia il lavoro. È davvero un elemento così centrale nelle vite delle persone?
Lo è sicuramente perché attraverso il consumo di oggetti e relazioni si definisce la propria identità, non solo rispetto agli altri, ma anche rispetto a se stessi. Basti pensare all’abbigliamento, allo scegliere cibi biologici piuttosto che il fare la spesa in un supermercato tradizionale: sono aspetti che dicono molto di noi a noi stessi e agli altri. Ma ho dei dubbi sul fatto che il consumo abbia sostituito il lavoro nella costruzione dell’identità. Proviamo a chiederlo a un disoccupato…Credo che prevalga ancor un punto di vista economico lavorativo, anche se certo non possiamo prescindere dall’importanza della sfera del consumo. D’altra parte i due aspetti sono strettamente legati: il lavoro è necessario perché le persone possano consumare. Lo stesso Henry Ford, inventore del lavoro a catena, sosteneva che i suoi dipendenti dovessero avere un salario di base che permettesse loro l’acquisto delle auto che producevano. La differenza rispetto a oggi è che prima per la maggioranza c’era un consumo di base, mentre oggi la massa accede a moltissimi e differenziati beni.

Notizia inserita o aggiornata il 04/11/2005. Letta 1806 volte.

 

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